Incontriamo il Prof. Fabio Angeli, responsabile dell’U.O. di Medicina della IRCCS di Tradate, Istituti Clinici Scientifici Maugeri.

Il Prof. Fabio Angeli si è laureato in medicina e poi specializzato in Cardiologia e Malattie dell’Apparato Cardiovascolare all’Università degli Studi di Perugia e ha svolto la sua attività prevalentemente nell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Perugia. Si è occupato di cardiologia preventiva, ipertensione arteriosa, fibrillazione atriale, scompenso cardiaco e sindromi coronariche acute.

Dal dicembre 2019 è responsabile della U.O. di Medicina presso gli Istituti Clinici Scientifici Maugeri di Tradate e Professore Associato di Malattie dell’Apparato Cardiovascolare all’Università degli Studi dell’Insubria di Varese.

 

 

 

Prof. Angeli, la ringraziamo innanzitutto del tempo che ci sta dedicando, in una situazione molto complicata, legata alla cura e contrasto del Corona virus.
Come avete affrontato il problema nel vostro Istituto?

Sono io che ringrazio per la possibilità di condividere le esperienze del nostro Istituto. Come potete immaginare, l’emergenza ci ha costretti a ridisegnare tutta l’impalcatura assistenziale che era in essere. Nello specifico, per fornire un contributo altamente significativo alla gestione dei pazienti COVID-19 abbiamo fuso le unità di Medicina e Pneumologia in un unico grande reparto multidisciplinare (con competenze internistiche, cardiologiche e pneumologiche), supportato dall’intera Direzione di Istituto e dalla Direzione Centrale. Come Direttore dell’U.O di Medicina sono stato designato come responsabile di questa nuova unità. E lo considero un privilegio.
Per l’organizzazione ottimale del nuovo reparto, abbiamo applicato elevatissime misure di prevenzione, nuovi percorsi e nuove attività assistenziali che ci hanno permesso di garantire la salute di pazienti ed operatori sanitari.

Da quanto appreso dai media, si pensava inizialmente che le patologie insorte fossero quasi esclusivamente a carico dell’apparato respiratorio, invece sembra che il virus colpisca anche l’apparato cardiovascolare.

La letteratura scientifica e la pratica clinica quotidiana ci ha costretti a rivisitare tutto il continuum della malattia relata all’infezione del nuovo Coronavirus. Nelle primissime fasi l’attenzione clinica era orientata verso la patologia polmonare; ma ci siamo presto accorti che l’infezione non interessa solamente l’apparato respiratorio; in particolare, la patologia presto si è caratterizzata da un coinvolgimento sistemico e nessuno dei nostri organi è, purtroppo, risparmiato.
Il coinvolgimento cardiovascolare riveste un particolare interesse, per le possibili complicanze e ricadute cliniche, anche a distanza.
Dalle nostre casistiche, il coinvolgimento cardiovascolare interessa circa il 30% dei pazienti ospedalizzati per COVID-19; tra le possibili sequele dell’infezione vanno annoverati eventi quali le sindromi coronariche acute, disturbi del ritmo ed aritmie, l’embolia polmonare, le miocarditi e le pericarditi.
L’alto turnover dei pazienti ricoverati in area COVID+, ci ha permesso anche di studiare la patologia relata all’infezione e ci siamo impegnati a fornire dati scientifici molto utili per la caratterizzazione della malattia sia in termini fisiopatologici che terapeutici.

Come state trattando le patologie insorte a carico del sistema cardiovascolare?

Sicuramente il primo obiettivo è quello di arrestare la diffusione del virus e le sue possibili complicanze. Seppur a livello terapeutico non ci siano certezze granitiche, stiamo utilizzando una politerapia ad ampio spettro.
Nel caso di patologie cardiovascolari insorte durante l’osservazione dei pazienti affetti da COVID-19, si utilizzano farmaci e dispositivi che hanno dimostrato un impatto prognostico favorevole nelle casistiche e negli studi clinici condotti in era pre-COVID-19. Dobbiamo, quindi, utilizzare al letto del malato con COVID-19 tutte le evidenze terapeutiche che si sono accumulate prima dell’emergenza, cercando di ottimizzare al meglio l’armamentario terapeutico che si ha disposizione. 

Che impatto hanno le comorbidità quali ipertensione arteriosa e fibrillazione atriale nei pazienti Covid positivi?

Tra le varie comorbidità e fattori di rischio cardiovascolari, l’ipertensione arteriosa mostra una elevata prevalenza nei pazienti affetti da COVID-19. I dati della Letteratura, poi, confermano che l’ipertensione arteriosa incide negativamente sulla prognosi dei pazienti ospedalizzati per COVID-19. In particolare, le ultime casistiche pubblicate mostrano che la stragrande maggioranza dei pazienti con eventi avversi fatali durante l’ospedalizzazione era affetta da ipertensione arteriosa.
Diversi modelli sperimentali sono stati proposti per spiegare l’associazione tra ipertensione arteriosa e severità del COVID-19. Quello che risulta più accreditato è uno sbilanciamento tra produzione di angiotensina II ed angiotensina-1-7.
In altre parole, il paziente iperteso con COVID-19 potrebbe essere particolarmente suscettibile a complicanze perché si instaurerebbe una elevata produzione di angiotensina II (che ha effetti dannosi sull’organismo) ed un ridotto rilascio circolante di angiotensina-1-7 (che normalmente controbilancia gli effetti dannosi dell’angiotensina II).
Altrettanto complessa è la relazione tra COVID-19 e fibrillazione atriale; basti solamente pensare che l’ipertensione arteriosa è una delle prime cause dell’insorgenza di questa aritmia.
Nei pazienti con COVID-19, la presenza di fibrillazione atriale è clinicamente rilevante, non solo nella fase acuta della malattia. Per questo motivo, risulta fondamentale stratificare il rischio cardioembolico in corso di COVID-19 per pilotare una strategia vincente in termini di anticoagulazione e riduzione del rischio di malattie invalidanti come l’ictus.

Soffermiamoci sul tema ipertensione arteriosa. Ci sono state chiare indicazioni da parte delle società scientifiche sul mantenere l’aderenza alla terapia e continuare a misurare la pressione arteriosa.
Cosa ci può dire di più?

Lo stretto legame tra ipertensione arteriosa e grado di severità del COVID-19 ha suscitato un enorme interesse scientifico.
Durante la fase acuta dell’epidemia le varie Società Scientifiche hanno cercato di fornire indirizzi e raccomandazioni per quanto riguarda la terapia anti-ipertensiva.
Dopo una prima fase di incertezza, si è chiaramente sottolineato quanto mantenere ed ottimizzare il trattamento anti-ipertensivo nei pazienti colpiti da COVID-19 sia importante.
L’individuazione, però, della classe farmacologica anti-ipertensiva più indicata e protettiva nei pazienti con COVID-19, è ancora oggetto di ricerca. 

Alla luce di quanto indicatoci, ritiene che un paziente iperteso dovrà intensificare il rapporto con la struttura sanitaria oppure potrà essere anche seguito anche con un controllo remoto?

Penso che la migliore risposta che si possa fornire ai nostri pazienti colpiti dal COVID-19 sia quella di ottimizzare il follow-up specialistico ed utilizzare contemporaneamente delle strategie da remoto (es. telemedicina con trasmissione dei parametri rilevabili a domicilio).
Un esempio è la trasmissione dei valori di pressione arteriosa misurati a domicilio e la rilevazione a distanza di eventuali sintomi insorti dopo la dimissione.
In caso di valori pressori non ottimali o di insorgenza di sintomi specifici, lo Specialista potrebbe anticipare una visita programmata ed agire, soprattutto in temi terapeutici, in modo precoce.

Siamo giunti al termine della nostra intervista. Secondo il suo parere, come dovrà affrontare un centro specialistico, come quello che Lei dirige, il post COVID nei pazienti ipertesi, con altre patologie o fattori di rischio?

Non sappiamo bene come evolverà il quadro clinico dei pazienti dopo la fase acuta e la guarigione dalla malattia. Per questo sono convinto che un centro specialistico che voglia seguire in modo appropriato i pazienti guariti dal COVID-19 debba predisporre dei percorsi specifici.
Questo vuol dire adibire spazi ambulatoriali dedicati a questa tipologia di malati e creare staff specialistici multidisciplinari (cardiologi, pneumologi ed internisti).
Nel nostro Centro, abbiamo avviato dei protocolli specifici per garantire una accurata e mirata gestione dei pazienti post-COVID, che ci permetterà di monitorare l’evoluzione della patologia e di fornire ai pazienti una pronta risposta in termini clinici e terapeutici.

Ringraziamo il Prof. Fabio Angeli per la cortesia e per avere sviluppato con noi questi temi interessanti.